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Archive for gennaio 2012

“Ora non ricordava le loro innumerevoli conversazioni costruite attorno all’idea della morte, forse perchè nessuna idea riguardante la morte ha qualcosa in comune con la presenza della morte.” ( Il tè nel deserto – Paul Bowles)

 

                Come sarà morire…com’è morire…mi capita a volte di chedermelo…senza timore…con il pensiero a chi dal suo corpo mi ha separato…a chi, vivo nella mia mente, vive nella mia vita. Nella lettura di quella frase di Paul Bowles…già custodita da tempo…quando la morte sembrava appartenere solo agli altri…l’unica inevitabile risposta costante. Non ci sarà pensiero pensato o  parola parlata  che tornerà a dirci di lei e di noi…e di chi amiamo e perdiamo…e non sapremo mai…cosa è,  come, dove,  e quando sarà.

                 Morire è morire…morire non è neanche assenza…morire è forse solo l’inevitabile impotenza di fronte all’immaginabile…parlare, pensare, scrivere della morte è vivere…morire è ciò che non sapremo mai…un mistero indefinito.

                 Muore chi resta…a custodire in una lacrima  chi non torna a riempire lo sguardo…a colmare il sentire…a saziare la superficie…a rischiarare il sommerso… a lenire l’incontenibile vuoto…e resta così con l’unica idea di morte tangibile….

                …ed allora morire sarà entrare in una lacrima…e precipitare in un oceano…per approdare nella battigia di chi ci ama…

(Anonimo)

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“dimmi di te…” 

non so cosa dire di me…ciò che mi colloca nello spazio che vivo, nella società, nel tempo…non mi  definisce….sono altro…sono quello che gli altri vogliono vedere…sono quello che non si può definire…sono quello che scopro ogni giorno di me…come una lista delle spesa dove manca sempre qualcosa…

…ed allora sono quello che sento quando mi tocco…profonda e trasparente…come il mare che amo…nelle profondità la disperazione, nella trasparenza la fragilità…

 

 

…e tra le parole…fioriscono pensieri…

(Fabiola Paci)

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Quello che c’è in me è soprattutto stanchezza
non di questo o di quello
e neppure di tutto o di niente:
stanchezza semplicemente, in sé,
stanchezza.
La sottigliezza delle sensazioni inutili,
le violente passioni per nulla,
gli amori intensi per ciò che si suppone in qualcuno,
tutte queste cose –
queste e cio’ che manca in esse eternamente –
tutto ciò produce stanchezza,
questa stanchezza,
stanchezza.
C’è senza dubbio chi ama l’infinito,
c’è senza dubbio chi desidera l’impossibile,
c’è senza dubbio chi non vuole niente –
tre tipi di idealisti, e io nessuno di questi:
perchè io amo infinitamente il finito,
perchè io desidero impossibilmente il possibile,
perchè voglio tutto, o ancora di più, se può essere,
o anche se non può essere…
E il risultato?
Per loro la vita vissuta o sognata,
per loro il sogno sognato o vissuto,
per loro la media fra tutto e niente, cioè la vita…
Per me solo una grande, una profonda,
e, ah, con quale felicità, infeconda stanchezza,
una supremissima stanchezza,
issima, issima, issima,
stanchezza…

(Alvaro de Campos)

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Ho aspettato per anni parole che non sono arrivate.
Ho incollato zampilli di silenzio alla sorgente viva
del mio dolore, prigioniera di un tempo mascherato
di generoso impegno.
Tra lettere di lacrime derise sono rimasta sola
a perquisirmi l’anima, per salvarmi la vita
quel tanto che basta e aspettarti…
L’attesa mi ha regalato saggezza,
pazienza,
frammenti di felicità.

(Anna Magnani)

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Insegnami a non tornare

in quei posti dove in fondo non sono mai stata.

Non li ho saputi trattenere…e se li ho trovati…

…è stato solo per calcolarne  la distanza…

ma non impedirmi di ascoltarti

seguendo la tua ombra come un’ in-segna…nel buio che avvolge…

in segno di un disegno che è solo l’accenno di un sogno.

Insegnati ed imparami a filtrarci tra le porte che si chiudono…

a nasconderci tra quelle che, sospese,  trattengono eternità.

Insegnati un sogno ed insegnami come raggiungerlo.

(Fabiola Paci)

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Esplodi dentro come un’uragano,
trascinando dietro tutto ciò che il cuore non vuole più sentire,
non vuoi perdonare, non senti più ragione,
solo una profonda ferita che ritorna a far male,
ripieghi il capo con orgoglio,
vuoi solo liberarti di tutta questa rabbia,
senza più alcun pudore, 
urli, travolgi ogni cosa, 
pensando che possa servire
a lenire il tuo dolore,
ora sola e stanca. 
non hai più forza per lottare,
pensi che sia stato tutto inutile,
chiedere ancora il suo amore,
il tuo cuore chiede solo un pò di pace,
non vuoi più voltarti indietro, 
e lasciare che la rabbia,
ti trasformi nella donna che non avresti mai voluto essere

(Giovanna Marino)

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“Risvegli..”

Vivo di risvegli di cui non ho coscienza…nè di causa…nè di effetto…

abbacinata come sono dal buio delle mie assenze.

Vivo di  risvegli in quello che sono stata….senza coscienza di quello che sarò…

memore di ciò che sono…

sedotta  inconsapevole…dal susseguirsi delle mie intermittenze.

L’anima ostinata…omette i propri graffi…

trascurandone il tracciato…seguendone le orme.

Vivo di risvegli…mancando al loro tepore.

(Fabiola Paci)

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“Ferite”

…ci sono ferite così lunghe…

che non riescono neanche a sanguinare…

scientificamente le chiamano profonde…penetranti.
Quelle che intendo
richiedono tempo…necessitano spazio…occorrono percorsi,
abbisognano di un luogo…
prima che una sola goccia di sangue ne segnali la presenza
o un ematoma le localizzi.
Quando ti accorgi che urlano il tuo nome…ed il tuo fallimento…
non hai più braccia per curarle,
non hai più gambe per trasportarle
non hai più occhi per meditarle
non hai più orecchie per sostenerle.
Sei la raccolta…la cavità dove quel trauma si è rifugiato,
sei l’intervallo… di quel tessuto dove qualcuno ti ha lacerato,
sei l’estensione di quel rimedio che le darà tutto il tuo tempo…
e senti il freddo…di un anestetico…
che altro non fa che aumentare il tuo tremore…e la tua impotenza.
Occorre allora, come un proiettile che le ha procurate,
trovare loro la via d’uscita…
altre lesioni…altri saccheggi …
per quella cerimonia di liberazione che nessuno mai celebrerà per te.(Fabiola Paci)

 

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Il possesso che non presume la proprietà,

la proprietà che non implicita il possesso…

vecchio retaggio dell’umanità.

Istinti primordiali definiti e dettagliati

più per minare affetti innati

che non rammentare il vivere di ognuno.

E così ciascuno  ha le sue cose, le sue persone, i suoi sentimenti:

la mia casa, la mia auto, le mie scarpe, i miei abiti, il mio orto, la mia bambola…

il mio uomo, il mio amante, i miei figli, i miei amici, i miei parenti….

i miei amori, i miei dolori, le mie passioni, i miei ricordi…

tutto deve essere attribuito a qualcuno…e possessivamente difeso

in nome di un codice che molti non applicheranno mai.

Io non ho niente,

le cose, le persone, i sentimenti…

che anch’io definisco, solo per  un ordine grammaticale, mie

mi appartengono nella misura in cui sanno apprezzarmi…

io le detengo…le custodisco e le trattengo…per avere da loro

un segno di tangibilità…e solo così…diventare reali…

come il diritto che le definisce.

                        …………………………..e quanto più reale è la loro impronta

tanto più certa la mia consapevolezza di poter volare.

(Fabiola Paci)

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“Viaggi…”

Non ho viaggiato quanto avrei voluto

nè quanto ho sognato…

ho solo toccato  le persone negli occhi e sfiorato i loro capelli…

osservato i loro silenzi…e sentito il loro vedere…

di tutte quelle che hanno errato nei miei confini…

di tutte quelle che oltre il confine hanno osato sfidare il ritorno

ed ho così esplorato paesi che mappe non indicano.

Non mi sono imbarcata…non ho volato…non ho vidimato biglietti…

sono stata la mia onda…la mia traiettoria…il mio controllore…

ho solo sondato un mondo alla volta…fin dentro le viscere…

dell’anima ne ho fatto la bussola…dei pensieri segnali…

ho sentito il fetore di rotte già note…

ed il tepore di gesti inconsueti…

è stato così…come perdersi tra le mura di una capitale…

per  ritrovarmi protetta dalla suburbia.

Non ho dovuto inventare parole per farmi comprendere,

ho aperto il mio vocabolario a chi ha saputo sentirlo.

Ho perso quel treno…per ritrovarmi ad unire un binario…

e smarrirmi tra i percorsi di un cenno.

Non ho foto da riguardare…ma sorrisi da trattenere

per un immagine che sola saprò fermare…

e rilegarla tra la foto  più bella…quella mai scattata.

Ho visto così tutto il mondo in un luogo…in un corpo…in un essere…

e mantenuto l’inquietudine di nuovi percorsi.

Ho sentito  l’Africa dalle mani di un amico improvviso…

l’Oriente dagli occhi di un mendicante distante…

l’Europa dalle certezze di sonosciuti adiacenti…

e tutto il mondo in un tuo abbraccio.

Non ho viaggiato…quanto avrei voluto…ma ho fatto il periplo di ciò che ho preteso…

rischiando ogni volta il naufragio…

guardando negli occhi…chi ha saputo incrociarli ai miei…viaggiando con me.

(Fabiola Paci)

 

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Cosa hai sentito finora del mondo attraverso l’acqua e la pelle tesa della pancia di mamma? Cosa ti hanno detto le tue orecchie imperfette delle nostre paure? Riusciremo a volerti senza pretendere, a guardarti senza riempire il tuo spazio di parole, inviti, divieti? Riusciremo ad accorgerci di te anche dai tuoi silenzi, a rispettare la tua crescita senza gravarla di sensi di colpa e di affanni? Riusciremo a stringerti senza che il nostro contatto sia richiesta spasmodica o ricatto d’affetto?
Vorrei che i tuoi Natali non fossero colmi di doni -segnali a volte sfacciati delle nostre assenze- ma di attenzioni. Vorrei che gli adulti che incontrerai fossero capaci di autorevolezza, fermi e coerenti: qualità dei più saggi. La coerenza, mi piacerebbe per te. E la consapevolezza che nel mondo in cui verrai esistono oltre alle regole le relazioni e che le une non sono meno necessarie delle altre, ma facce di una stessa luna presente.
Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a inseguire le emozioni come gli aquiloni fanno con le brezze più impreviste e spudorate; tutte, anche quelle che sanno di dolore. Mi piacerebbe che ti dicessero che la vita comprende la morte. Perché il dolore non è solo vuota perdita ma affettività, acquisizione oltre che sottrazione. La morte è un testimone che i migliori di noi lasciano ad altri nella convinzione che se ne possano giovare: così nasce il ricordo, la memoria più bella che è storia della nostra stessa identità.
Mi piacerebbe che qualcuno ti insegnasse a stare da sola, ti salverebbe la vita. Non dovrai rincorrere la mediocrità per riempire vuoti, né pietire uno sguardo o un’ora d’amore.
Impara a creare la vita dentro la tua vita e a riempirla di fantasia….
Adora la tua inquietudine finché avrai forze e sorrisi, cerca di usarla per contaminare gli altri, soprattutto i più pavidi e vulnerabili. Dona loro il tuo vento intrepido, ascolta il loro silenzio con curiosità, rispetta anche la loro paura eccessiva.
Mi piacerebbe che la persona che più ti amerà possa amare il tuo congedo come un marinaio che vede la sua vecchia barca allontanarsi e galleggiare sapiente lungo la linea dell’orizzonte. E tu allora porterai quell’amore sempre con te, nascosto nella tua tasca più intima.

(Tratto da P. CREPET,Non siamo capaci di ascoltarli, Einaudi, Torino 2001)

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